Niente soldi, solo dati, purché personali. Ecco la policy relativa ai pagamenti del Shiru Cafe, una catena giapponese di caffetterie che vanta già 23 punti vendita per la maggior parte in patria. Tra gli altri segni particolari del format, riporta l’Agi, spiccano il fatto di aprire solo nei campus universitari e che, soprattutto, qui il caffè si “scambia” con le informazioni. Due caratteristiche che indicano che i dati non servono tanto per indirizzare la pubblicità quanto per consentire alle imprese di pescare i talenti migliori.
L’identikit di Shiru Cafe
Gestito da Enrisson Inc, Shiru Cafe ha debuttato nel 2013 ed è sbarcata anche negli Stati Uniti circa un anno fa. I punti vendita in Giappone sono 17 e si trovano in molte delle principali università del Paese: Tokyo e Tokyo Institute of Technology, Osaka, Kyoto, Negoya. Quattro caffetterie sono in India e due negli Usa: Brown University (a Providence) e Amherst College (nel Massachusetts). Si sta preparando ad entrare nel gotha delle università statunitensi: Yale, Princeton, Harvard. Il format è semplice: “Shiru Cafe ti da da bere gratis in cambio dei tuoi dati. Nome, cognome, indirizzo, sesso, età, nazionalità, numero di telefono, e-mail. Ma anche corsi di laurea frequentati, numero di matricola, anno accademico, anno di laurea previsto, interessi personali e professionali. Gli studenti universitari non pagano nulla se decidono di consumare l’ordine nella caffetteria, sborsano un dollaro se invece optano per l’asporto. Perché più tempo passi al tavolo, più trascorri e navighi nel sistema Shiru e più informazioni sui tuoi gusti lasci come mancia”.
Far incontrare domanda e offerta
Il vero obiettivo dell’iniziativa, però, è mettere in contatto gli studenti con le aziende. I primi, mentre sorseggiano il loro cappuccino barattato, ricevono informazioni che le imprese hanno concesso in esclusiva a Shiru Cafe. Dovrebbero servire – si legge sul sito della società – a “orientare nella scelta della carriera futura”. Sono le imprese, dette “sponsor”, a pagare il conto. I professori, invece, pagano un dollaro: i loro dati sono molto meno interessanti di quelli dei ragazzi.
Foto: Shiru Cafe Brown