E’proprio vero che del caffè non si butta via niente. E non parliamo solo dei fondi e della bevanda avanzata, utilizzati in mille modi per la cura della persona, della casa e delle piante. Del caffè non si butta via niente perché anche le bucce che coprono il prezioso seme vengono utilizzate per fare il cascara, bevanda tradizionale di alcuni Paesi centroamericani che sta scalando i gradini della notorietà anche in Italia (è possibile assaggiarlo in alcuni bar a Milano, Brescia e Roma, oltre che ovviamente prepararlo da sé).
Come si fa?
Prima di rispondere, una piccola lezione di botanica come avvicinamento a questo caffè “alternativo”, dal sapore articolato e complesso, con note di frutti rossa, prugna e sentori di petali di rosa e ibisco. Il frutto della pianta del caffè è una specie di ciliegia, drupa in termine botanico, composta da pericarpo (la buccia), mesocarpo (la polpa) ed endocarpo (il seme, avvolto in una specie di pellicola trasparente detta pergamino). La fine che fa il seme la sappiamo. Per quanto riguarda buccia e polpa, il 90% del quantitativo è utilizzato come fertilizzante. La parte restante, dopo essere stata fatta essiccare al sole, è particolarmente aromatica e viene utilizzata per fare il cascara, di fatto una via di mezzo tra il caffè filtro e un infuso. Per ottenere la bevanda basta lasciare le bucce essiccate (circa due cucchiai a testa) in infusione in 200 ml acqua a 95° per alcuni minuti, ma ovviamente è concessa ogni variazione (un sapore più o meno forte, una bevanda più o meno concentrata) in base al gusto personale. Si beve, dopo aver filtrato, eventualmente con l’aggiunta di un po’ di zucchero. A sorpresa, il cascara non sa di caffè ma contiene caffeina, anche se in modeste quantità (circa un quarto del classico espresso).