Caffè nella ricerca: servirà per assorbire l’energia solare

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Il caffè per potenziare l’energia solare, o meglio il suo assorbimento. Ecco a cosa si sta dedicando con successo il gruppo di ricercatori del DENERG – Dipartimento Energia e del Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Ottica del CNR di Firenze. Già, perché come dicono gli studiosi “negli ultimi anni, intensa attività scientifica è stata dedicata allo studio e allo sviluppo di fluidi con proprietà ottimizzate per l’assorbimento diretto dell’energia solare e conversione in energia termica. Una gran parte dei fluidi proposti si ottiene a partire dall’acqua tramite l’aggiunta di nano-particelle, che le conferiscono particolari proprietà termiche e ottiche. Il problema principale nell’utilizzo di questi fluidi, conosciuti come nano-fluidi, è la loro tossicità dovuta ad alcune particelle e al rischio ambientale per il loro smaltimento”.

Problema risolto?
Per risolvere il problema, il team di ricercatori ha ideato un fluido con proprietà simili a quelle dei nano-fluidi, ma con il vantaggio di essere innocuo per la salute, biocompatibile e a basso costo… usando il caffè! Il fluido proposto consiste infatti principalmente di acqua distillata e caffè, ai quali vengono aggiunti glicerolo e tracce di solfato di rame – rispettivamente per evitare il congelamento e la formazione di muffe. “Le proprietà del fluido (o colloide), caratterizzate per diverse concentrazioni di acqua e di caffè, si sono dimostrate analoghe a quelle ottenibili con nano-particelle di carbonio. Infatti, le particelle di caffè finemente disperse in acqua ‘intrappolano’ i raggi del sole in una sorta di ‘labirinto ottico’ che incrementa l’assorbimento di energia solare. Una intensa campagna sperimentale presso il DENERG ha quindi permesso di dimostrare un’efficienza di conversione diretta comparabile con quella di più tradizionali soluzioni basate su assorbimento indiretto – come quelle dei collettori solari-termici comunemente installati sui tetti delle abitazioni”. Il lavoro del gruppo di scienziati è stato pubblicato sula rivista Scientific Reports: il prossimo passo sarà continuare a approfondire questo tema.